GIA

Presente in 14 paesi ed in ogni continente, il Gemological Institute of America  è senza dubbio il più autorevole tra gli istituti di ricerca e di certificazione gemmologica. Esso fu fondato a Carsbad, nella contea di San Diego (USA) il 15 febbraio del 1931, proprio nello stesso periodo in cui veniva fondata in Germania la Porsche, Salvador Dalì (ispirato da una cena a base di formaggi molli) dipingeva il suo quadro più importante (“La persistenza della memoria”) e la scienza compiva due importanti passi in avanti grazie ai Teoremi di incompletezza di Godel ed ai collegamenti tra Europa e Brasile intuiti da Guglielmo Marconi.

Il gioielliere Robert Shipley, infatti si rese conto di essere spesso meno preparato dei  suoi acquirenti quando proponeva loro gioielli con pietre preziose: decise così nel 1928 di recarsi in Gran Bretagna e studiare gemmologia. Al suo ritorno fondò, nel 1931, un primo corso di gemmologia al quale si iscrissero in poche settimane oltre 250 colleghi, decretando così il successo di un progetto che addirittura i primi tempi egli realizzò nelle stanze della propria abitazione.

Seguirono enormi successi, sino alla dimensione intercontinentale che il GIA ha assunto negli ultimi decenni, con la creazione di 12 campus di formazione a distanza (e-learning) e una biblioteca specialistica che consta di 38.000 volumi e oltre 700 riviste del settore orafo.

Al GIA dobbiamo l’individuazione delle “4 C” di un diamante (“carat”, “clarity”, “color”, “cut”), fondamentali criteri usati in tutto il mondo per quantificarne il valore mediante la nota tabella ideata nel 1978 da Martin Rapaport. In particolare, dal 1953 GIA adotta un sistema di classificazione del colore di un diamante che le autorità internazionali hanno standardizzato ed ufficializzato nel 1978 e che consiste nell’utilizzo di pietre-base denominate “masterstones” (convenzionalmmente dalla lettera “D” in giù) di peso non inferiore a carati 0.50 osservate sotto una lente speciale, utilizzando il modello di Munsell (pittore al quale si deve l’individuazione di 11 tonalità, 31 tinte e 7 saturazioni di colore).

Dal 1980, invece si utilizza la classificazione della purezza che esclude le precedenti distinzioni tra diamanti River, Top Wesselton, Wesselton e Top Cape (derivanti dai luoghi di provenienza delle gemme) e si preferisce partire non dalla definizione data negli Anni Trenta dal GIA per le pietre migliori (FL, cioè flawless) ma indicarle con la sigla IF, cioè internamente prive di imperfezioni percepibili ad una lente a dieci ingrandimenti: il GIA individua oltre alle cosiddette inclusioni, costituite da olivina, grafite, granato, rutilo e cianite, anche imperfezioni non riconducibili alla paragenesi generativa del cristallo ma dovute a fatti fortuiti e a manipolazioni. Esse vengono definite blemishes e sono solitamente graffiature e/o abrasioni, dovute al maneggiamento del diamante durante la fase di lavorazione. 

A questo Istituto, infine si devono tutt’oggi periodiche pubblicazioni di studi e ricerche specialistiche, sulla scia delle fortunate scoperte che portarono all’individuazione dei primi diamanti gialli nel 1956 e delle prime tanzaniti nel 1968.