POMELLATO

Sebbene la sua storia sia meno antica rispetto a quella di Tiffany e di altri marchi iconici, il brand Pomellato (fondato nel 1967) oggi è tra gli emblemi della più alta produzione di gioielleria. 

Per molti anni l’azienda è stata controllata dal fondatore, ma negli ultimi decenni ha vissuto una fase tanto espansiva quanto problematica. Pomellato, infatti non aveva linea ereditaria diretta (il fondatore Rabolini è deceduto nel 2018) e, in particolare, il pacchetto azionario inizialmente era concentrato per il 73% nelle mani del fondatore e per il 18% della famiglia Signori: quest’ultima aveva già 2002 ceduto la propria quota a Damiani, o meglio alla sua consociata Sparkling, la quale tra il 2011 e il 2013 ha cercato di “scalare” il prestigioso brand durante un lungo contenzioso legale.

Attualmente Pomellato è all’81% del Gruppo Kering, al quale fanno capo anche Gucci, Boucheron e Balenciaga, tutti acquisiti nell’ultimo ventennio dal fondatore Francois Pinault, tra gli uomini più facoltosi d’Europa e proprietario con i Rothschild dei prestigiosi vitigni Bourgogne e Champagne. 

Pomellato deve la sua fama anzitutto alle intuizioni di Rabolini, a cui si deve l’invenzione di quei ciondoli da lui definiti “pazzi”, ossia snodabili (orsetto, re) e ad alcune testimonial memorabili come Jane Fonda, Tilda Swinton, Kate Blanchett e, da ultimo, Chiara Ferragni oltre all’attrice Salma Hayek, consorte dell’azionista di maggioranza.

Tramite imponenti campagne pubblicitarie tale marchio ha, di fatto aumentato il suo fatturato dai 138 milioni annui del 2011 ai 186 del 2021, sviluppati in 600 negozi sparsi nel mondo, di cui 86 monomarca.

Certamente le linee pulite delle sue collezioni “Milano” del 2017 e “Nudo” del 2003 hanno lanciato uno stile inconfondibile nell’uso di pietre prima poco conosciute e caratterizzate dal taglio a cupola (“cabochon”) quali la tormalina, la iolite, il peridoto, oltre al diamante e all’acquamarina, ma è il Dodo, lanciato nel 1995 il suo articolo più venduto. Molte sono le leggende sorte intorno a questo animale realmente esistito e chiamato “dronte”, le cui ultime attestazioni risalgono ai tempi di Hobbes e cioè a metà Seicento. Purtroppo di questo goffo bipede, che incuriosì anche Darwin, gli studiosi hanno ritrovato solo un artiglio e pochi frammenti ossei: da ciò deriva la leggenda secondo cui si è estinto perché di esso si nutrivano i marinai. Invero, il dronte/Dodo era un uccello simile ad una grossa colomba, insediatosi migliaia di anni fa nelle isole Mauritius, ove- trovando un ambiente caldo e favorevole- era arrivato a pesare oltre 30 kg tanto da non poter più volare, essendosi atrofizzate- di generazione in generazione- le ali, poco sfruttate da un animale che trovava a terra le sue prede. Ciò però determinò anche la sua fine perché, nidificando sulla terraferma e non sugli alberi rendeva assai vulnerabili i suoi piccoli, a loro volta preda nella catena alimentare. 

Oggi la sua goffa simpatia rende questo “uccello mancato” uno dei più iconici personaggi nel mondo dell’alta gioielleria, riprodotto in centinaia di charms, bracciali e orecchini.