PERCHE’ SI DICE CHE “UN DIAMANTE È PER SEMPRE”?

Ci sono slogan pubblicitari destinati a durare decenni, imprimendosi nella mente di milioni di persone. Tra essi certamente uno dei più fortunati risale al 1947 e riguarda i diamanti.
Il noto claim che recita “un diamante è per sempre”, rinviando mentalmente all’eternità della gemma inscalfibile per definizione e, metaforicamente, ai sentimenti che essa evoca, ebbe una elaborazione piuttosto complessa.

Dopo la Prima Guerra Mondiale , infatti e la Crisi del 1929 i beni di lusso erano in una fase di calo di vendite e per tale motivo il Presidente della De Beers, Ernest Oppenheimer, dal 1938 aveva investito mezzo milione di dollari annui in pubblicità in un piano strategico che nell’estate del’45 sarebbe culminato nella diffusione di un film intitolato “La pietra magica” realizzato dalla Columbia Pictures e visto da 15 milioni di persone.
In quel contesto , nel Secondo Dopoguerra il prezzo dei diamanti era raddoppiato e fu affidato per nove anni consecutivi alla N.W. Ayer & Son lo sviluppo delle campagne pubblicitarie De Beers.
Si succedettero plurime campagne addirittura riferite a pittori famosi, ma fu una giovane grafica di nome Mary Frances Gerety dopo una notte ad alta gradazione alcolica ad inventare la frase che ancora identifica non solo il colosso sudafricano (in verità oggi parte della conglomerata mineraria Anglo-Americana), ma dell’intero settore dei preziosi.

Le cose andarono così: alla giovane ,che era reduce da viaggi in mezza Europa e aveva precedentemente lavorato nei settori caseario e poi elettrico, fu dato il compito di trovare qualcosa di originale per i vertici De Beers prima che questi ripartissero per l’Africa il pomeriggio seguente. La ragazza pensò bene di parlarne con una collega più anziana di lei durante una cena che si trasformò in un infruttuoso “brainstorming” a base di cocktail Martini. Tornata a casa a notte fonda Mary fu colta dal panico e cominciò ad abbozzare claims che non fecero altro che aumentare la sua frustrazione: come nel 1816 un altra Mary, la diciannovenne celebre scrittrice Shelley, avrebbe fatto “sognando” all’alba il suo capolavoro Frankestein, la giovane grafica nella luce dell’alba ebbe l’intuizione che ne cambiò la carriera: se il diamante doveva servire come suggello d’amore e pegno di eterna fedeltà, esso doveva (proprio perchè adàmas, cioè incorruttibile e indistruttibile) simboleggiare il perpetuarsi indefinito dell’amore, con chiara ascendenza involontaria al pertrarchesco Trionfo dell’Amore (1351) sul Tempo e allo già noto “omnia vincit amor” di E. A. Poe, ripreso dalla Decima Bucolica di Virgilio.

Da quell’alba il resto è entrato nella leggenda, con la De Beers che tornò a promuovere beni di lusso e a lanciare l’anello solitario nel rito della proposta di matrimonio, dopo i difficili anni di blocco bellico durante i quali si era pubblicizzato il diamante per uso industriale.
Si narra che Mary, dopo tre sole ore di sonno, arrivò alla riunione con i capi della sua agenzia struccata, barcollante e vestendo un cappottone marrone e che, tra l’ilarità di qualche collega, quella frase apparentemente sgrammaticata in lingua inglese colpì subito tutti coloro i quali la ascoltarono, per la sua efficace e limpida brevità.

Come sempre la storia del marketing è fatta di paradossi: fu una bruttina zitella l’artefice del suggello di milioni di matrimoni.